Dobbiamo un gallo ad Asclepio.

giovedì 28 giugno 2012

MARAIS

Nel 1960 feci un giro nel Marais perchè una mia conoscente  aveva deciso di mostrarmi i monumenti cospicui della sua città che in quel quartiere erano la colonna della Bastille e la place Royale. Non lo sapevo, ma André Malraux ne aveva già progettato il recupero; quel quartiere aveva fatto la stessa fine del centro storico di Palermo, disertato dall'aristocrazia e dai funzionari regionali in ascesa oltre che dai politicanti e dagli speculatori, tutti a fare la coda negli uffici dell'ex carrettiere Vassallo, braccio operativo del 'Sacco di Palermo' messo a punto dai Gioia, Lima e Ciancimino che avevano deciso di spingere la città ad ovest senza alcun piano  regolatore perchè era meno costoso e molto più remunerativo. Vi erano rimasti gli artigiani che avevano impiantato i laboratori nei cortili dei palazzi in rovina  ed i lavori più delicati nei piani nobili, mentre nei catoi che li assediavano cercava a qualsiasi costo di vivere una plebe affamata e scalcagnata che aveva finito per destare l'orrore pietoso del mondo della cultura nazionale che aveva individuato nel famigerato 'Cortile Cascino' ai Dannisinni  il centro del male di vivere più totale. Gli abitanti del 'Cortile' che in realtà era un quartiere, non avevano l'acqua corrente, il Comune non ritirava le immondizie che venivano gettate lungo il tratto della ferrovia Palermo/Trapani che passava in prossimità e che veniva utilizzato anche come gabinetto collettivo; i loro bambini venivano morsicati dai ratti con cui convivevano. Nel 1956 il sociologo Dolci tenne lì un celebre digiuno ed Enzo Sellerio, cresciuto nel neorealismo, diventò l'occhio di questa socialità della sofferenza che attraverso le pagine dell'Espresso fece il giro d'Europa e degli USA. C'erano cartelli di protesta dappertutto, ma il governo non si dava per inteso, solo la mafia, mossa a pietà ingaggiava di tanto in tanto alcuni maschi per i suoi lavoretti, mentre le donne scarmigliate urlavano cercando di disinfettare ferite purulente e fare sopravvivere bambini rachitici.
 Nel 1969, quando tornai nel Marais, il recupero era iniziato e il Gen.De Gaulle si era dimesso da poco, ma Malraux era riuscito a varare il suo piano di salvaguardia e aveva disposto l'acquisizione dallo Stato di luoghi ed edifici storici. E' una zona ex paludosa che era già stata protetta dai Romani con la soprelevazione della rue St.Antoine; essa si trova a Nord-Est nella Rive Droite ma abbastanza prossima alla Seine che vi infiltrava le acque attraverso terreni permeabili. Verso il IX° sec. vi si impiantarono alcuni ordini monastici cui si deve il drenaggio e la messa a cultura dei terreni. Enrico II° aveva deciso di stabilire la residenza  reale alla Tournelle, ma quel progetto fu abbandonato da Caterina de'Medici a causa dell'incidente nel torneo del 1559. In ogni caso esso venne ripreso da Enrico IV° che, però, spostò di poco la residenza, realizzando la place Royale, cioè quella che si chiama des Vosges, in omaggio al dipartimento che per primo pagò le tasse, e che può essere considerata una prova generale di Versailles perchè ai due padiglioni del re e della regina che si fronteggiano al centro di due lati opposti, si affiancano senza soluzione di continuità tutti gli altri edifici occupati da membri del governo e dalla corte risultandone una struttura solidamente unitaria e chiusa in se stessa con i giardini privati sui lati esterni degli edifici ed un giardino comune  per le passeggiate di corte al centro del parallelogramma edilizio impenetrabile. Una volta, in un caffè sotto i portici incontrai Michèle Mercier che aveva impersonato il ruolo della moglie  in una celebre serie di film con Robert Hossein ispirata a Fouquet, poi cominciai a frequentare l'orologiaio antiquario Richelieu i cui meccanismi  recuperati in ogni dove compresi vecchi campanili, mi mandavano in estasi.
Quando tornai al Marais, come dicevo, il recupero era agli inizi e il quartiere ricordava la mia Palermo con i cartelli di protesta degli abitanti sfrattati e i palazzi puntellati. L'area era vasta, comprendendo l'intero III° arr.e il IV° con esclusione delle isole. Era ancora abbastanza sconquassato e nessuno si sarebbe sognato di andare a viverci eccetto coloro che ci stavano già e non volevano esserne sfrattati non sapendo dove sbattere la testa.
Anne volle mostrarmi la sua scuola : 'Les Métiers d'Art' che era stata impiantata in un hotel particulier del XVII° sec. appartenuto a tale Aubert arricchitosi come esattore della tassa sul sale ai tempi in cui il povero Fouquet sedeva sulla 'sellette' come raccontava M.me De Sévigné alla figlia; da quì il nome di Hotel Salé. Il Gen.De Gaulle  ed il suo ministro Malraux, avevano stabilito che la Cultura era un fattore fondamentale dello sviluppo della Francia (diversamente dal Sig. Berlusconi  e dal ministro Tremonti che stabilirono che in Italia 'con la cultura non si mangia'), pertanto l' Hotel Salé era stato acquisito dallo Stato in base a una legge del 1968 che disponeva egualmente che le tasse potessero essere saldate con cessioni di opere d'arte. La prima conseguenza fu che l'Hotel Salé fosse scelto come sede del museo Picasso i cui fondi d'arte furono formati con 'dations' degli eredi Picasso di opere a saldo di tasse, con donazioni della figlia del pittore ed infine con acquisti da parte dello Stato. Oggi il museo Picasso di Paris è il più importante che riguardi il pittore spagnolo. L'edificio fu restaurato tra il 1974 e l'80.
Mi ci recai all'apertura nel 1985 costatando che la massa di opere era imponente ma al tempo stesso di importanza notevolmente diseguale; per conto mio ne avrei eliminato un bel pò perchè una firma non basta a creare un capolavoro. Il palazzo era stato recuperato egregiamente con attenzione filologica puntigliosa tutta francese, lo avevo visto prima ed ora ero incantato particolarmente dalla bella scalinata e dalla sua balaustra  en fer-forgé nero e oro, arte in cui i fabbri parigini erano inarrivabili quanto a finezza. Dunque, nel 1985 il quartiere era recuperato, gli immobili privati erano stati rifatti con piani particolareggiati di notevole pregio che tenevano presenti sia il tipo di pietra usata che la necessaria presenza di verde e i prezzi cominciarono a salire fino a diventare inabordabili. Che fine abbiano fatto gli occupanti degli immobili demoliti non  so, ma ho il ricordo che un fenomeno simile si era verificato a Napoli, forse nei Quartieri Spagnoli; l'amministrazione del tempo aveva predisposto case popolari alla periferia, ma gli abitanti si rifiutarono di spostarsi per l'ottima ragione che volevano abitare in centro e non avrebbero rinunciato per l'oro del mondo ai loro modi di vita. Al museo tornai più volte per coonestare le mie impressioni; Picasso era sicuramente grandissimo ma aveva anche prodotto un'enorme quantità di cacca. L'ultima volta fui colpito da una China, un nudo perfettamente cubista: aveva usato il corpo come si fa disfacendo una scatola di cartone appiattendone le piegature e riducendo il suo volume ad una superficie per conservarla facilmente e riutilizzarla; l'artista si era concentrato esplicitamente su quella parte del corpo invisibile anche se esso è nudo essendo stretta nella fessura delle natiche, vi si era applicato quasi trasformandola in un emblema 'araldico': una circonferenza piccolissima tracciata presumibilmente al compasso, per il cui centro passavano un certo numero di diametri; di fatto la trovata era geniale e coerente col fine estetico di riduzione geometrica di un solido ad un piano, mi fece pensare a problemi che si era posto Archimede, alla cui soluzione teneva moltissimo come massimo risultato della sua ricerca.
Quando attraversai i giardinetti, sul marciapiede opposto al museo vidi la bottega d'un noto  antiquario-arredatore con un nome simile al mio ed entrai per parlargli, però era troppo indaffarato, mi avviai, quindi, per la rue Vieille du Temple flanando verso la chiesa des Blancs Manteaux che era appartenuta all'ordine dei ' Serfs  de la Vierge' che indossavano lunghi mantelli bianchi verso il 1258 per ordine di S.Luigi; mi ricordai che Eco aveva raccontato in un romanzo che essa era appartenuta ai Rosa-Croce; comunque oltraggiosamente abbandonata malgrado la gradevole facciata barocca.
 Finii rue du Bourg-Tibourg dove venni attratto dalle vetrine ocra col nome in nero di una vecchia bottega; sarà stata la vetustà ad attirarmi, infatti era la più vecchia che avessi visto in città; entrai e, quale sorpresa: si trattava di un magazzino all'ingrosso della metà del XIX° sec. la cui sistemazione mi era più che familiare, infatti uno dei miei nonni ne aveva posseduto uno identico: l'ambiente  era vasto e costituiva la totalità dell'esercizio; a metà della parete di sinistra, parallelo alla porta da cui ero entrato era situato l'ufficio, cioè una specie di guardiola del portinaio di un condominio moderno, tutto a vetri con l'intelaiatura di legno non essendoci all'epoca i profilati metallici; dall'interno dell'ufficio si controllava l'intero magazzino, cioè le porte d'accesso che erano due (una per la merce si apriva al fondo e sulla stessa strada), la bascula, che faceva bella mostra a non più di un metro dall'ufficio stesso, era un tipo di pesa con un pianale di cm.80x120 circa su cui venivano poggiati i sacchi, esso era collegato per mezzo di leve snodate al braccio di pesatura che è di ferro piatto tirato a lucido e porta incise una serie di tacche corrispondenti ai pesi da cento grammi a 25 chili. La lucentezza del braccio è disposizione dell' Ufficio dei Pesi e Misure perchè l'individuazione del peso deve essere facilissima . La pesatura si effettua spostando opportunamente  sul braccio un peso di ottone scorrevole provvisto di un cuneo che va ad incastrarsi nella tacca appropriata che determina l'equilibrio. Sul braccio, dal lato in cui ci sono due punte che devono corrispondersi perchè il peso sia esatto, è appeso un piattello snodato su cui si possono poggiare pesi supplementari che stanno agganciati sul telaio fisso anteriore della bascula, e che moltiplicando per 100 il loro valore permettono di pesare fino a 250 chili. Fatta quest'analisi che includeva alcune sedie Thonet identiche a quelle dell'ufficio del nonno, stabilii che tutto questo era stato conservato per la storia e stava in relazione col concetto di cultura di Malraux. Ora l'azienda era una bottega al dettaglio, infatti  contro  la parete opposta all'ufficio, dove un tempo venivano ammonticchiati i sacchi di the, c'era una  scaffalatura grande quanto la parete e suddivisa in scomparti di circa 50 centimetri che formavano più o meno 150 nicchie  ognuna delle quali era occupata da un recipiente cilindrico di ferro smaltato in scuro con un coperchio a cupoletta, con la sua etichetta in vista. Davanti ad esso correva un lungo banco  servito da 5 o 6 commessi in gabanella grigio-ferro come usava un tempo, che svolgevano attività incessante di pesature di circa un etto. Diedi uno sguardo alla clientela : tutte donne e un paio di tipi indefinibili; mi sembrò strano che trovandomi nel IV° arr.  le signore fossero tutte BCBG del VII° e del XVI° nord. Avevo scoperto per caso la boutique dei Frères Mariage, già esistita nel XVII° sec. e rifondata verso la metà del XIX° : era precisamento il momento in cui in tutta l'Europa continentale tornava di moda il the delle 5. In seguito l'affare ebbe un successo clamoroso, aggiunsero prodotti e fecero qualunque cosa al the, compresa l'acqua benedetta e l'olio santo della chiesa di S.Germain. I Mariage, che non esistono più, importavano circa 500 tipi diversi di the da una trentina di Paesi orientali; Anne ne parlò ad una conoscente e Mariage giunse alla Palermo che conta. Quando mi avvicinai al banco per curiosare fu a tutte evidente che ero un estraneo non iniziato ai sacri misteri, alcune signore che avevano già fatto le loro provviste di 3 o 4 pacchetti estrassero di nuovo le loro Filofax e ricominciarono a salmodiare  mantra esotici allo scopo di umiliarmi con la loro tracimante cultura, e i commessi sorpresi ricomincirono a pesare; alcune portarono via incarti voluminosi solo per la soddisfazione di épater les bourgeois. In ogni caso nessuna di esse avrebbe mai dubitato che le avevo esaminate bene: in quasi tutte avevo individuato lo zampino di Inès de la Fressange, all'epoca musa di Karl Lagerfeld, il mio preferito sia al Faubourg che ad av.Montaigne. I loro pantaloni bianchi o in denim, le camicette semplici e sexy con décolleté arrotondato, gli sweater bleu-marine a V sotto giacchette di pelle o boleri, le ballerine di Céline, rigorosamente nessun bijou, che farebbe 'italiana', eccetto un anello o un semplice braccialetto: tutte rigorosamente Rive Gauche come si conveniva al loro status la cui parola d'ordine è: non farsi assolutamente notare per farsi notare, magari disorientando l'avversario con un'imprevedibile incursione da "Tati".